L'ex presidente di Taiwan: "Dobbiamo tornare a dialogare con Pechino"
Intervista a Ma Ying-jeou, unico leader di Taipei ad aver incontrato la controparte cinese. Lo status quo sullo Stretto resta e resterà un tema divisivo tra Biden e Xi Jinping. Ecco come il deus ex machina dell'opposizione di Taiwan immagina il futuro di una partita decisiva a livello globale TAIPEI. Come ha dimostrato il summit di Bali, Taiwan è il nodo più pericoloso delle relazioni tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese. A Pechino, Xi Jinping ha ottenuto da qualche settimana un terzo mandato per guidare il Partito comunista. A Taipei, la Stampa ha intervistato Ma Ying-jeou, ex presidente di Taiwan che Xi lo ha incontrato nel 2015 nell'unico vertice tra i leader delle due sponde dello Stretto. Eletto col Kuomintang, il partito nazionalista di Sun Yat-sen e Chiang Kai-shek, durante la sua presidenza avvia il dialogo con Pechino e firma diversi accordi. Nel 2014 il Movimento dei Girasoli occupa per 23 giorni il parlamento per bloccare un trattato sui servizi. Ma è ancora considerato il deus ex machina del Kmt, che si prepara alle elezioni locali del 26 novembre e alle presidenziali del 2024, cruciali per il futuro dei rapporti sullo Stretto.
Sette anni fa ha incontrato Xi Jinping a Singapore a coronamento di un periodo di forte dialogo. Come si è arrivati poi alle tensioni attuali?
«L'Economist scrisse in un editoriale che il vertice fu la più grande concessione da parte della Cina continentale sulla sovranità di Taiwan. Le racconto un particolare. Prima di incontrarci abbiamo negoziato per decidere come rivolgerci l'uno all'altro. Alla fine non ci siamo chiamati "presidente" ma solo "signor Xi" e "signor Ma". Al vertice avevamo concordato di risolvere le divergenze con mezzi pacifici. In quegli anni abbiamo firmato 23 accordi. Le relazioni erano amichevoli e prospere. Sei anni dopo sempre l'Economist ha definito Taiwan "il luogo più pericoloso della Terra"».
Molti taiwanesi lo ritenevano però un riavvicinamento eccessivo.
«Francia e Germania hanno combattuto diverse guerre ma sono diventati i pilastri dell'Europa unita, pur non condividendo la stessa lingua. Nel 1993 ero in aereo quando lessi che si lavorava alla moneta unica: ero così commosso che arrivai alle lacrime. Noi apparteniamo alla stessa regione e alla stessa lingua. È assurdo avere relazioni così ostili».
Di chi è la responsabilità delle attuali tensioni?
«Evitare la guerra dovrebbe essere l'obiettivo numero uno per entrambe le parti. E per evitare la guerra bisogna prima dialogare. L'astio tra Dpp (Partito progressista democratico, ndr) e Cina continentale è diventato difficile da gestire. Entrambi sono colpevoli, ma la responsabilità del Dpp è maggiore. Nell'attuale governo c'è ancora chi vuole perseguire l'indipendenza ma siamo già indipendenti de facto come Repubblica di Cina e i taiwanesi ne sono alla guida. Non serve continuare a inseguire un'indipendenza che significherebbe guerra».
Pechino però continua ad alzare la pressione militare e dopo la visita di Nancy Pelosi ha effettuato esercitazioni senza precedenti.
«Non mi aspettavo che Pechino arrivasse a creare sei "zone di blocco" o a lanciare missili guidati sopra Taiwan. Azioni che hanno mostrato le loro intenzioni. Forse la Cina continentale teme che col tempo Taiwan si allontani definitivamente, ma deve capire che se dovesse incorporarla con la forza pagherebbe un prezzo molto alto. Ora che ha consolidato la sua posizione, non se Xi voglia provare a farlo nel suo terzo mandato. Da parte nostra dovremmo cercare di ristabilire un rapporto ed evitare lo scontro».
Pechino continua a ritenere "un Paese, due sistemi" l'unico modello applicabile in futuro a Taiwan. E nell'ultimo "libro bianco" mancano alcune delle garanzie di autonomia presenti nei due precedenti. Su quali basi si può dialogare?
«La popolazione di Taiwan non ha mai accettato la formula "un Paese, due sistemi". Dopo quanto accaduto a Hong Kong, molti hanno tratto la conclusione che quel modello è morto. Taiwan è molto diversa e sono sicuro che Xi lo capisca. Il dialogo può riprendere sul "consenso del 1992", che riconosce l'esistenza di una sola Cina ma con diverse interpretazioni, a tutela di uno status quo con relazioni amichevoli ma senza inglobamenti. Taiwan deve garantire di non "andarsene" e la Cina continentale di non usare la forza».
Al Congresso del Partito comunista cinese, Xi non ha però escluso l'utilizzo della forza. Ritiene che Pechino voglia ancora il dialogo?
«Se Pechino vuole rispettare come ha detto lo stile di vita di Taiwan, deve ricordare che quello stile di vita è libertà e democrazia. Non escludiamo la possibilità di un'unificazione, ma attraverso mezzi pacifici e un processo democratico».
In che modo?
«Per esempio con un referendum. A Taiwan ne abbiamo fatti tanti. Se la Cina continentale vuole l'unificazione, deve ottenere il consenso della popolazione di Taiwan».
Pensa che gli Stati Uniti interverrebbero militarmente in caso di guerra?
«In cinese si dice che "lo spirito è pronto, ma la carne è debole". Sì, negli ultimi mesi Biden ha ripetuto 4 volte che interverrebbe. Ma poi la Casa Bianca ha sempre chiarito che non ha cambiato la sua politica sulla Cina. Biden può volerlo, ma le circostanze potrebbero non permetterglielo».
I taiwanesi sono pronti e disposti a difendersi?
«Se lo chiede ai giovani, non credo tutti siano disposti a combattere. Ma ciò potrebbe cambiare se non ci saranno altre possibilità. Taiwan non deve avere paura della guerra e prepararsi ma allo stesso tempo deve negoziare la pace. Io ho 27 parenti che vivono nella Cina continentale, perché dovrei combattere una guerra contro di loro? Penso che le nostre forze armate siano preparate, ma non importa quanto si è preparati: una volta che la guerra scoppia, tutti soffrono. Guardi l'Ucraina. Dall'Ucraina dovremmo trarre lezioni non su come fare la guerra, ma su come evitarla».
- 文章轉載至自義大利媒體「La Stampa」專訪 "L'ex presidente di Taiwan: "Dobbiamo tornare a dialogare con Pechino" by LORENZO LAMPERTI